Processo al futuro

Processo al futuro


Pure, prima di dirigersi verso il varco d’ingresso del carcere psichiatrico, egli alzò nuovamente lo sguardo su per quegli ammassi, percorrendoli su su, fin dove le propaggini aggettanti, chiudendosi tuttuno con il grande scudo atmosferico, ostruivano alla sua vista ogni via per il cielo aperto.

– Sarà giorno? Sarà notte?, si domandava.

Al pensiero di poter un giorno rivedere le stelle e l’universo spalancato davanti al naso, un impulso poetico gli si affacciò nell’intimo. Prontamente lo soffocò; se ne vergognava.

Lo scudo urbano, onde la sua vista era impedita, si era imposto da tempo a copertura delle città in attuazione dei protocolli disposti dopo la crisi del Covid25. La sua progettazione aveva richiesto il concorso delle più qualificate e dispendiose competenze allora disponibili. Per far fronte ai loro preventivi esorbitanti, a seguito di interminabili trattative, negoziati e falliti tentativi di accordo, procedure volte al reperimento dei fondi per il finanziamento dell’opera (ritenuta da tutti i capi di Stato “doverosa e necessaria”, pena l’internazional riprovazione) furono dapprima approvate dagli Stati su base volontaria; poi, a seguito dell’insufficienza delle risorse destinatele dalle singole nazioni su tale base, sfruttando la leva del risentimento sociale e la grancassa dei media, si era finito per mettere gli Stati di fronte a un aut aut. Pressati da ogni parte, questi furono gradualmente costretti a costringersi ad approvare imposizioni e prelievi coatti, destinati al finanziamento dell’«opera strutturale, a salvaguardia del Pianeta». La soluzione, se da una parte faceva correr le più svariate maestranze di allora, globalizzatesi intorno alla prospettiva dei vertiginosi compensi, verso la definitiva consegna dell’opera, nel contempo esauriva la disponibilità alla spesa in deficit degli Stati, che per grandi o piccini che fossero, erano rimasti inesorabilmente sconquassati nei propri interni bilanci. Onde a seguito delle sempre più frequenti crisi da sovraindebitamento, per un effetto a cascata che travolse con questi anche l’economie mondiali, uno dopo l’altro, nel giro di pochi anni, tutti dovettero dichiarare la propria insolvibilità: insomma fallirono. Ciò nonostante, il comitato scientifico internazionale, prendendo in mano -per così dire- le redini della situazione, di fronte all’imperversare di nuove forme pandemiche mutate sulle precedenti, d’accordo con il fondo monetario unito, continuava ad appaltare alle migliori ingegnerie del pianeta progettazioni di CSE (Sanitary Ermetic Coats, ovvero cappotti sanitari ermetici): calotte capaci di chiudersi a sfera sopra i luoghi di assembramento civile, con lo scopo di proteggere i cittadini dalla mobilità virale portata dalle correnti, dai venti e dalle piogge atmosferiche. In pochi anni, ogni città, piana, valle e insediamento d’uomini venne così incapsulato sotto la volta di tali mastodontiche opere di clausura atmosferica, capaci di filtrare e misurare la carica virale dell’aria interna e limitare così il diffondersi dei contagi. Ragioni di economia avevano poi imposto agli abitanti della terra di raccogliersi sotto le immani coperture, tutte strategicamente disposte presso i punti di maggiore densità abitativa. Circa in quei giorni, l’accesso alle montagne veniva progressivamente limitato, poi sanzionato, dunque penalizzato e infine duramente represso. Solamente per scopi scientifici, le leggi consentivano alle fondazioni di santuari della scienza e della tecnica di situarsi al di fuori delle CSE zone. Fu in quel tempo che numerosi santuari scientifici sorsero sulle alture delle montagne e presso gli ammassi forzosamente spopolati. Le popolazioni autoctone che da secoli abitavano fra le montagne, venivano fatte gradualmente confluire a valle, quasi seguendo la rotta dei fiumi, e ciò in nome delle “stringenti ragioni sanitarie”; un tal sradicamento, a seconda dei luoghi, si ottenne con la forza del diritto o col diritto della forza.


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