Nerolana

Nerolana


VII

Passarono molti anni. Il principe Testadilegno, vecchio e con un ciuffo di peli bianchi sul capo, dimenticatosi da tempo d’esser principe e di avere una patria a cui render conto, trascorreva le sue giornate rinchiuso dentro un’altissima torre. L’aveva costruita poco a poco con l’aiuto di quel servo che lo riforniva ogni giorno di grandi quantità d’erba pipa, i cui sacchi intasavano la soffitta. Così questi gli aveva suggerito un giorno, mentre ancora si trovava in campo aperto: “Perché invece di stare all’addiaccio non ti costruisci una capanna per proteggerti dal vento?”. E dalla capanna alla torre fu breve convincimento.
Nel regno lontano, dove aveva lasciato i verdi pascoli, il Re, sdegnatosi per quella grave dimenticanza, aveva deciso di abbandonarlo. Quando nel Palazzo alcuni cavalieri si erano avvicinati al gran trono per chiedergli: “Vuoi che andiamo a prenderlo?” Il Re si era opposto: “Ora ha sé stesso”. In realtà, durante tutti quegli anni, quel Re santo aveva giorno per giorno rifornito il principe di tutte le provviste necessarie per sopravvivere, mascherandole sotto apparenza di caso. Tanta umile bontà muoveva quel Re che, nonostante ricolmasse figli e servi con doni infiniti, non amava mai far mostra di sé: si accontentava che sudditi e figli non lo dimenticassero. Pertanto, anche se il principe non lo aveva immaginato, nel corso della sua lunga vita erano stati i funzionari del Re a mantenerlo, spingendo nel bosco selvaggina scelta onde il principe potesse approvvigionarsi e nutrirsi; sempre loro, per Suo ordine, avevano aperto nuove falde acquifere, lasciando che i ruscelli scorressero fino a raggiungere il campo dove egli era insediato, affinché potesse bere. Quando poi il servo malvagio nel volgere del tempo lo aveva convinto a costruirsi lì in campo aperto prima una capanna, poi una casa con tetto, quindi un forticello ed infine quella torre sempre più alta, furono sempre i servi di corte a fargli assicurare almeno la minestra che passando fra le mani del cattivo servo diventava la brodaglia con cui tenerlo in vita. Ma il principe, dimentico di tutti tranne che di sé, avvolto in mostruose tele di ragno, nell’ allucinazione di Nerolana trascorreva ormai la sua esistenza penzolando a testa in giù in quell‘oscura soffitta. E consultandosi notte e giorno con il servo chiedeva ossessivamente: “La mia bambina! La mia bambina! E’ tutta mia, vero?”. E un attimo dopo, rabbuiandosi: “La mia bambina…la mia bambina!…Non è ancor mia, adesso?”. Ma il servo bugiardo lo incalzava sussurrandogli: “E’ tua, padroncino mio, è tua e tu la salverai: stai pur tranquillo e persevera!”; ma intanto fibrillava, pronto a strappare dal cuore dello schiavo il prezioso diamante, da quello completamente obliato. “Principe infelice” cantavano a corte i musicisti sfiorando l’arpa “proprio colei che tu volevi liberare, ha tratto te in catene”. Segregato in quelle tenebre, dimentico della luce solare, da molti anni oramai il principe Testadilegno non vedeva più Nerolana che dentro di sé; ma fuori, ella non era più di questa vita.
Tempo prima infatti, a causa d’un gran male, l’aveva raggiunta una precoce vecchiaia ed ella era stata strappata dalla torre, che diroccata e in frantumi giaceva ora sotto cumuli di polvere a poca distanza da quella dove il principe abitava. Era stata molto malata e negli ultimi giorni la morte bussava costantemente alla sua porta, facendole mandar fuor di bocca certi violenti colpi di tosse. “Tosse mortale” diagnosticavano i ragni rallegrandosi fra loro: sapevano esser quello male incurabile, e non vedevano l’ora di divorarla. Anche il servo aspettava trepidante quel momento atteso da tutta una vita. Circondata da parenti, figli e amici, dal marito che in lacrime le teneva la mano (a lui un giorno si era data in sposa), in quell’ora d’agonia la ragazza, assai invecchiata, non aveva più coscienza di chi fosse così tenace a stringergliela. Con gli occhi girati e forti spasmi stava allora per esalar lo spirito, cercando fra tanto dolore l’interiore conforto di quel servo che tante volte l’aveva assistita, quand’ecco che, già quasi dal corpo si separava, quell’anima vide con orrore il reale volto di colui al quale per tutta la vita si era appoggiata: un demone orrendo ora la accusava, rinfacciandole una vita di infedeltà ed errori. Quella visione miserabile, che sghignazzando la fissava con occhi spietati e beffardi, la gettò più che mai in una profonda ed alienante disperazione: vide chiaramente e riconobbe di colpo tutte le bugie che in vita sua aveva assecondato dando lui interiore ascolto.




Era dunque alla resa dei conti e quel demone immondo stava per infilzarla con corde uncinate e tenaglie, strappandole dal cuore il diamante con cui tenerla eternamente a sé avvinta, quand’ecco che dal cielo della sua anima affranta d’improvviso una voce apparve illuminando la sua speranza. Rischiarando quelle tenebre disperate con un barlume di fiducia, Nerolana vide allora sprigionarsi dal diamante che per la prima volta contemplava nel proprio cuore un essere meraviglioso, il cui dolce sguardo, pieno di amorevole comprensione, valse a farla innamorare. Difendendola dall’angoscia e dai rimorsi che, come ragni enormi, rodevano la sua coscienza fino al terrore, quella visione la confortò con tali parole: “Non temere, figlia. Io vengo a salvarti”. Cui ella con flebile cenno interiore rispose: “C’è ancora per me misericordia?”. “Figlia, da sempre ti ho amata. Appoggiati al Mio cuore e non disperare”. Nerolana, col cuore gonfio di lacrime, in uno slancio d’amore riconobbe d’improvviso quella voce da tempo dimenticata, che fin da quando era avvolta in fasce l’aveva inseguita e amata, e piangente esclama: “Oh, Signore!”. Con divina clemenza allora quel veritiero Principe, sottrattala alle grida del servo demoniaco che strillava orrendamente bestemmiando, la trasse a sé per stringerla amorevolmente. Nerolana in quell’istante, lasciando a terra il corpo, vide d’esser un prezioso diamante, una piccola anima trasportata da angeliche mani verso una patria che adesso soltanto lentamente cominciava a ricordare.




Avvampando al ricordo di quella sua patria d’origine, dove l’estate era mite e gioconda, la vita un gioir nell’amore felice, quell’anima cominciò a sprigionare raggi così violenti d’amore che lacrimando la piagavano e ferivano fino a farla mancare. Riprendendosi a intervalli e vedendosi bucare le regioni del cielo attratta dall’amore per quel Divino Cavaliere, in quella luce violenta Nerolana vide ad un tratto dispiegarsi in un punto l’intera storia della sua vita, l’orrenda prigionia che aveva servito e le bugie di quei servi diabolici che l’avevano lusingata, per poi accusarla alla fine della vita. Vide allora che il suo corpo era stato il tempio di uno Spirito d’amor vivo, che ora la riconduceva a sé per mai più lasciarla. Come un amante che ci attende all’infinito, quello spirito l’ aveva attesa per tutto il corso della sua vita, da quando giaceva in grembo a sua madre fino all’ ora della malattia che la traeva da soglia mortale. Quando era nata, donandole un’anima a lui simile le aveva infuso divina scintilla d’eterna vita; poi battezzandola le aveva donato un eterno abitino, che solo una cattiva educazione era valsa a far scordare macchiandola. Dubitando le parole di salvezza per lei scritte, con poco coraggio e molta comodità, dietro alle orme di quel demone al suo servizio, fin da piccola quella creatura aveva sbarrato la porta in faccia al suo Creatore, perché quegli non entrasse a prendervi dimora portandole doni e grazie. Con mente ottusa, fiduciosa solo in sé, quel servo demoniaco, rapportandola a se sola, l’aveva a tal punto ingannata ch’ella preferì sempre la sua oscura e solitaria prigionia rispetto al reame infinito che in Dio la aspettava. Ma quell‘abisso di misericordia senza causa non volle ricompensare la sua infedeltà, e nell’ora del bisogno era venuto a salvarla. La strappò così dalle mani del nemico, per elevarla a un riposo senza fine.
Il Principe Divino la portava quindi in alto, e la luce d’amore che sprigionava quasi stinse dal prezioso diamante ogni ricordo del male patito. Quel diamante di bambina, quell’anima scampata al pericolo, fra le braccia d’un glorioso Principe ora si trovava, mentre cangiandosi in fiamma d’amor viva sopra un destriero fulmineo, veniva trasportata all’eterna patria. Lì giunta e depositata, fu accolta con canti da un coro di angeli bambini che al suono di flauti e tamburelli la festeggiavano facendosi incontro.




Fu quindi lavata, nutrita e rivestita d’ un nuovo abito. Quell’abito glorioso era stato da tempo fabbricato con il succo di alcune lacrime umane che un giorno sulla terra qualcuno aveva per lei sparso, affinché nell’ultimo giorno fosse salva. Raccogliendo quelle lacrime preziose un santo tessitore del cielo, morto al mondo alcuni secoli prima sopra uno scoglio solitario di fronte alla Cina e tuttora abitante l’eterne dimore, ne aveva ricamato una stoffa preziosa, che abbellita con fregi e ghirlande fiorite, era stata offerta al Re dei cieli perché ne ricavasse un abito di salvezza eterna per Nerolana. Il Re glorioso aveva allora accolto la preziosa offerta, e stabilito che nell’ultima ora della sua vita, Suo Figlio, il Principe Salvatore, venisse a liberar quell’anima dalla sua prigione e dall’eterna agonia.
Finisce qui dunque la storia di quel Principe Divino e del suo Re Misericordioso, che come hanno fatto con quell’anima, così faranno e stanno facendo ancora ogni giorno fino alla fine del mondo. Questa è una storia vera, ed è scritta a lode e gloria dei loro nomi. Vogliano nell’ultima ora non scordarsi anche dell’anima nostra.


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