Nerolana

Nerolana


VI

Trascorse quindi altro tempo e la ferita aperta nel cuore del principe, via via che ne prendeva coscienza, si acuiva. Ora costui era pallido e consunto. Di fronte alla nuova delusione non sapeva più come agire. Nerolana lo guardava dall’alto della stanza, considerandolo solo uno fra i suoi passatempi e quando lo aveva a noia se lo dimenticava. Il principe invece era come pazzo: non appena gli sembrasse d’intravedere la figura della ragazza passar davanti alla finestra subito si sbracciava saltellando, facendo riverenze e piroette per attirar la sua attenzione. Stava lentamente dimenticando di volerla liberare. Quando da un cespuglio vedeva sbucare un leprotto, uno scoiattolo o una volpe, subito li rincorreva dicendo: “Ti voglio bene, ti voglio bene amore!”.




Aveva perso il lume della ragione e vedendo il volto di lei ovunque riusciva a rassomigliarselo perfino in quel foro concavo sotto a un ramo della gran quercia, da cui le api uscivano per andare al lavoro. La vedeva inoltre nella forma delle nubi, la incontrava e seguiva ovunque, perfino nei propri sogni. Dal mattino alla sera credeva di avere un solo compito: attenderla. La ragazza era ormai la sua ossessione. Indebolitosi a tal punto nello spirito, da un po’ di tempo inoltre il principe andava consumando piccole quantità d’erba pipa che il servo astuto di notte seminava nel campo intorno. Solito allontanare da sé qualunque tipo di doni quegli offrisse, poco per volta ne fu irretito e tornò a dargli ascolto. “Quietati un poco” diceva allora il servo malvagio “Non lo vedi come sei stanco? Salvar la propria donna dà pur diritto a un momento di meritato riposo. Prendi quest’ erba pipa, rilassati e vedrai che domani attenderai meglio al tuo lavoro”. E portatagli alla mano dell’ottima qualità d’erba pipa, il principe si lasciava avvolgere in quei profumi, pieni di tenebrosa delizia. Quell’erba infatti non faceva bene al principe, che aspirandola ne ricavava più confusione che giudizio. Proprio allora cominciarono a sprigionarsi in lui e a farsi largo pensieri colmi di velenoso stordimento, spacciati lui dal servo qual “riposante farmaco”. Stordito e su di giri il principe Testadilegno diede quindi ulteriore udienza alle proposte con cui l’astuto ingannatore voleva definitivamente imbrigliarlo. “Principe”, diceva questi: “Questo è affar da uomini. Mostra quanto vali a colei che tu desideri. Spogliati di quel pallido candore e danza un ballo erotico sotto i suoi occhi: vedrai come cascherà fra le tue braccia!”. “Bravo servo” rispondeva il principe intontito, poggiandogli la mano su una scheletrica spalla: “Questa volta non posso darti torto: i tuoi suggerimenti andranno certo a buon fine!”. Ciò detto, postosi all’ascolto del riottoso tramestio che proveniva dalla sacca delle sue vive sementi e lasciatosene avvincere, il principe Testadilegno slacciò fieramente la cinta dei pantaloni e nudo dai piedi all’inguine cominciò a danzare come un piccione corteggiatore ai piedi della torre, gonfiando il petto e richiamando la sua padroncina con suoni gutturali ed emissioni erotiche.



Umiliatosi a tal punto, nella sua follia d’amore il principe s’era persuaso di conquistare a quel modo il cuore di Nerolana, ma la ragazza, disgustata, gli aveva tolto perfino il sorriso di pietosa compiacenza che fino a quel giorno, divertita dai numerosi appostamenti, talvolta aveva lui riservato. L’esibizione delle vergogne proseguì fino a notte fonda. Poi, al sorgere del sole, quando il principe tornato in sé si vide nudo, fu colto da imbarazzo. Rannicchiatosi quindi ai piedi di un albero e versata qualche lacrima, come vergognandosi cercò rifugio in un lunghissimo sonno, da cui per molto non si sarebbe più risvegliato.


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