Esame di revisione

Esame di revisione



Toccava a me adesso. Ero nei guai, perché l’effetto Riccardo nel frattempo non era ancora cessato del tutto. Mi misero dunque il vello di pecora addosso. Cominciai, con difficoltà invero, a muovere i primi passi nel percorso tracciato. Una zampa qua, una zampa là. Belavo, ma quasi stranito. Mi concentrai: non potevo permettermi di essere a mio agio. Per una volta, dovevo rinnegare il lupo. Non per altro: l’Altissimo voleva i suoi pargoli all’asilo, e l’aquila in casa mi avrebbe infilzato come uno scoiattolo, se avessi fallito. Ero dunque pienamente concentrato e contratto, nel fingermi agnellino in mezzo al traffico del gregge: m’immaginavo d’aver perso la mamma, rimasta più avanti. Avanzavo quindi in mezzo ai montoni adulti, timida, in cerca della mammellina che mi avrebbe reso la patente. Lo sforzo fu tale e grande, che a un tratto, vedendomi così castigato, cinturato e obbediente, l’istruttore – che nel frattempo mi guidava con gesti della mano inequivoci – rilassò i testicoli, e prese a conversare con l’esaminatrice. Quelle che riporto sono le conversazioni realmente avvenute all’interno dell’abitacolo.
L’occasione prima ai convenevoli la offerse il mio istruttore, richiesto del certificato d’assicurazione del veicolo. Non trovandolo, ne passava intanto all’esaminatrice diversi e già scaduti. Quando finalmente ebbe a consegnarle quello giusto (“2024!”), quella esclamò, con stupore di bimba che s’interroga sulle cose del mondo che ancor non capisce: “Chissà perché i foglietti dell’assicurazione rimangono sempre da mezzo?”. La domanda ulcerò la mia immaginazione, mandando la visione del gregge in frantumi. Sospinto verso la risposta, presi ad accelerare impercettibilmente, tanto che l’istruttore con gesti più energici – e solo a me noti – mi comandava di rallentare. Lo ignorai del tutto, per involarmi verso un responso soddisfacente per il mio concetto: ora perfino l’esaminatrice cominciava a tenersi alle maniglie, con retrovisibile preoccupazione. Me ne curai però solo nel momento in cui, rovistando nel ripostiglio dell’intelletto, m’impossessai del pensiero seguente: “Perché ci costano! Fatica e soldi. La fatica di non restarne sprovvisti, i soldi per rinnovarla entro scadenza. Non è
solo qui l’ordine del cruscotto in gioco! Ci sospinge all’accumulo dei foglietti assicurativi il presentimento che qualche fatto avverso e retroattivo possa tornare a chiederci conto di quell’anno o quel fatto, scaduto secondo il calendario astrale, ma riesumato dal diritto delle rotture di coglioni. Così, quella logica materna che ci farebbe propendere per il repulisti, cede a quella più ctonia dell’accumulo di documentazione, quasi che da una pila di lettere morte possa scaturire garanzia migliore, alito di vita più adatto ai microclimi della contorta palude dei nostri abiti mor(t)ali e civili”. Tali pensieri, invero, mi elevavano via via sempre più la mente verso astrazioni ancora più generali e conclusive: mi vedevo ora prender quota, librarmi come Olandese Volante sopra le teste degli uomini. Di lassù, i palazzi di Sampiardarena suscitavano in me sentimenti di pietà e compassione per l’umana condizione, onde intercedevo con preghiere la Virtù celeste per i condòmini. A un tratto, mi parve d’intravedere una figura d’Angelo, vestito come da vigile urbano, nell’atto di mostrarmi una pergamena il cui significato compresi di lì a poco. La visione cessò e dovetti scendere dall’auto, per fornire le mie generalità.


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