L’isola

L’isola


V

“Tutto questo è veramente dignitoso. Vorrei tanto potermi fermare a vivere fra voi”.

“Lo potrai se ti comporterai bene. La cittadinanza qui si acquista per virtù, e si perde se ci si ostina nel male”.

“Cosa ne fate dei recidivi?”.

“Li isoliamo, nella speranza che si ravvedano”.

“Come quello strano vecchio che ho conosciuto sbarcando?” “Quello è il banchiere dell’ isola, naufragato fra noi anni or sono. Aveva raccolto tutta la sua fortuna sulla sua nave gommone, ma la fame lo sospinse a terra. Ci disse che voleva comprarsi la nostra isola con tutti gli alberi, le piante, i muretti a secco, i laghi, le coste, le spiagge e le insenature. Disse che ci avrebbe dato a tutti lavoro, perché aveva molte ricchezze nella sua nave gommone.

Naturalmente fummo tutti incuriositi, e la popolazione intera riferì la cosa ai senatori per virtù, che son sessantatre ragazzi, nove adulti, e ventitre anziani, i quali per parte loro, dopo averne discusso, consigliarono ai re di vedere quantomeno quali tesori quell’ uomo offrisse, se mai che con quelli avremmo potuto trasferirci su un’ isola più grande per allargarci e distribuire ricchezze sempre maggiori ai nipoti dei nostri nipoti.

Quale sorpresa quando i nostri re, dopo aver visitato la nave gommone, ci riferirono che quell’ uomo trasportava solo una grandissima quantità di carte! Ma per lui non eran carte: li chiamava “valute, titoli di stato, banconote”, e aggiungeva “di valore inestimabile, inestimabile!”.

Il giorno seguente i senatori per virtù riferirono la cosa a noi del popolo in dettaglio: raccontarono come quell’ uomo avesse dapprima cercato di persuadere i tre re a mettersi dalla sua parte, promettendo loro in cambio del titolo di re dei re la metà dei suoi

beni; ma i re, consultatisi brevemente, gli obiettarono che questo gli pareva desiderio cattivo e contrario agli statuti dell’ isola, e comunque ne avrebbero riferito ai senatori per virtù prima di prendere decisione alcuna. Allora quell’ uomo disse che aveva il potere di destabilizzare l’ isola facendone crollare i mercati interni, se non avessero acconsentito ai suoi progetti politici sul luogo, ma i nostri re gli risposero che secondo loro non aveva il potere di far nulla, perché anzi era molto smagrito e sarebbe stato meglio venire al villaggio a mangiare una porzione di pesce arrosto per rifocillarsi. Raccontarono a quel punto che quell’ uomo si alterò dicendo che non avrebbe accettato alcuna elemosina da parte degli abitanti dell’ isola, “neppure da parte dei re!”, ma che l’ avrebbe piuttosto comprata tutta quanta per cinquemila miliardi di sterline con tutto il cibo che conteneva; i re gli risposero che da par loro non sapevano cosa fossero le sterline, e che volevano vederle per poterci pensare sopra, credendo si trattasse di una specie di stelle marine molto preziose qui fra noi; ma dicono che quando quello gli mostrò la celletta più interna della sua nave gommone, ov’ era un piccolo baule, simile ad un altarino rialzato da terra, ne trasse fuori un foglio con certe scritte, che secondo l’ uomo erano il documento firmato che egli avesse un certo credito depositato presso la banca tal dei tali, per l’ appunto di cinquemila miliardi di sterline. Quell’ uomo, secondo che ne riferivano i re, voleva comprarsi tutta l’ isola dandoci in cambio quel foglio. Non solo, intendeva anche sottomettere i nostri figli al lavoro, dicendo che da quel foglio ne avrebbe prodotto molti altri coi quali si sarebbe impegnato a pagarci accreditandoli sulla banca dell’ isola che egli si sarebbe assunto il compito di istituire, governare e dirigere, tanto che già aveva pensato al nome: “Banco dell’ isola”.

I re, che normalmente sono scelti fra la popolazione o fra i senatori per prudenza ed equilibrio, in quella circostanza dovettero incoraggiarsi l’ un con l’ altro per non dare sfogo all’ ira; i senatori ci dissero addirittura che per non risolversi la cosa con violenza appendendo il forestiero al suo intestino presso l’ alveare dei calabroni rossi, secondo l’ antico privilegio concesso per i casi di

tradimento alla loro potestà, decaduto per mancanza di traditori, fuggirono a balzi dalla nave gommone. Tornati dunque al villaggio e sbollita l’ ira, risolvettero infine di lasciar discutere la cosa ai senatori per virtù, i quali dal canto loro si consigliarono con la popolazione sul da farsi.

La gente semplice del luogo fu allora unanime nel concedere da una parte il diritto di ospitalità al banchiere, dato l’ estremo grado di indigenza del naufrago, ma dall’ altra, per contemperarne la bramosia e farlo rinsavire, proposero ai senatori e ai re di prenderlo per la gola, barattandogli un piatto di melanzane in cambio di tutte le sue stoppie per il fuoco, come venivano chiamate quelle sue carte.

Ai re parve cosa saggia, e lasciate passare alcune settimane, “il tempo di deliberare”, ma in realtà per farlo dimagrire fino a diventare invisibile, il banchiere venne poi convocato alla presenza del popolo, dei senatori e del notaio per i baratti dell’ isola, e accomodato davanti a un’ invitante porzione di melanzane arrostite; qui gli si domandò pubblicamente se acconsentisse a cedere la sua nave gommone con tutto ciò che conteneva in cambio di quella razione giornaliera. Il banchiere, dapprima sdegnato oltremodo di essere condotto lì, di fronte alla pietanza fumante resistette pochi minuti, dopodiché – alla presenza del notaio, dei re, del senato e del popolo – si slanciò sulla scodella imprecando e acconsentendo al baratto, con soddisfazione di tutti i presenti.

Con tutte le carte, i titoli, le valute, le banconote rinvenute sulla nave gommone la sera di quello stesso giorno venne poi fatto un grande falò con decreto festivo dichiarato appositamente dai nostri re per l’ evento, che si celebrava in memoria della dura miseria che quelli come il banchiere avevano causato ai nostri antenati, secondo i nostri libri di testo, nel corso del XXI secolo, prima del secondo diluvio. La festa prese il nome di:”Falò dei debiti”.

Dopo aver bruciato la sua fortuna, invece che rinsavire e integrarsi fra noi, il banchiere si isolò sempre più, fino a perdere letteralmente il senno.


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