L’isola

L’isola


IV

Dopo qualche giorno di intensa preghiera comunitaria con i cristiani dell’ ultima spiaggia, Aurelio fra canti, benedizioni e raccomandazioni fu imbarcato nuovamente sulla sua zattera, attrezzata per il viaggio con una bisaccia piena di leccornie del luogo: cartilagine di squalo sott’ olio di cocco, liquore di bava di lumaconi dell’ isola e fegatini rancidi di falena gigante.

Dopo dodici notti e dodici giorni di navigazione, allo stremo delle forze, avvistò la nuova isola.

Sbarcato a terra, fu accolto da un uomo smunto e tremolante come un vitello senza più pascolo. Aveva gli occhi fiammeggianti, la barba irsuta, i capelli in trecce di fango, e ad ogni parola sputacchiava. Il suo aspetto era ad un tempo venerando e terribile, come un uomo che racchiudesse fortune e maledizioni dentro la stessa gabbia toracica. Aveva il respiro corto e affannato, e parlava una lingua sconosciuta agli abitanti del luogo, nonché ad Aurelio: “Spread! Bond, stock-in! Vedo il mercato rialzarsi: compra! Lo vedo rintanarsi in stallo: vendi! Fumi di ripresa: titoli in ribasso, banche assetate, liquidità! Ora, ora!”

“Signore, io non comprendo! Cosa significano queste parole? Lei è forse il capo del villaggio? O lo sciamano del luogo?”

Ma quell’ uomo, sotto il folto delle sue ispide sopracciglia, come spazzole ferrate ad aggrottare un volto già funereo, non rispondeva che a gesti e con parole sconosciute: “Bail-in! Tokio: +0,1%! Ci siamo, ci siamo! Chiama Londra!!”.

Aurelio, non sapendo veramente come comportarsi di fronte a quel tizio stralunato, gli offrì un poco di avanzo di cartilagine di squalo: “Prenda, lei è così magro!”. Ma quello, con una manata, scacciò l’ offerta in terra, alzando strilla simili al gracchiar stridulo d’ un anziano corvo.

Nel frattempo gli abitanti del luogo l’ avevano raggiunto e, calmato il vecchio con buone maniere, conducevano ora Aurelio al villaggio.

Nel tragitto Aurelio aveva avuto modo di osservare la rara compostezza di quella società. Tutte le donne, i ragazzi, gli uomini adulti, anziani e bambini, avevano un aspetto sobrio e decoroso, e al suo passaggio ossequiavano il nuovo arrivato con un sorriso che mischiava sincero rispetto a timida curiosità.

Apparve chiara la gerarchia degli ordini: in quella comunità ciascuno serviva a qualcosa, e quella cosa – se pur piccola – concorreva al servizio di tutti. Aurelio fu lavato, servito e munito di ricambi per il soggiorno fra modeste parole e discrete. Alloggiato nella sua cella, una capanna ben spaziosa con un lettuccio di frasche e un lavello che raccoglieva l’ acqua piovana dall’ esterno, venne poi introdotto pubblicamente alla mensa comune in serata. Lì, a cena con tutti gli abitanti del luogo, venne edotto sulla forma di governo adottata nell’ isola.

“La nostra comunità è il frutto di una graduale osservazione della realtà di natura, delle esperienze del passato, e della meditazione sugli scritti sacri antecedenti al secondo diluvio. Noi abbiamo rilevato che non è mai bene che vi sia un uomo solo al governo: perciò, fin dal principio, ci siamo dotati di tre sovrani come capi che governano come uno solo, o non governano affatto; per deliberare devono essere infatti tutti i tre d’ accordo, perché abbiamo posto la concordia a fondamento, e se uno impazzisce viene rimosso e sostituito, sì da evitar tirannidi; abbiamo poi un parlamento costituito da anzianità per virtù, rinnovato per voto dall’intera popolazione ogni tre anni, che funge da consultorio per i sovrani. Abbiamo infine osservato che non necessitavamo di altre leggi che quelle raccomandate dalle scritture antiche, le quali, se ben osservate nelle loro linee essenziali, abbiamo visto bastare ed anzi abbondare al fine di renderci prosperi e felici. Fra di noi coltiviamo le virtù e la modestia, e nessuno desidera prevalere sopra gli altri, perché abbiamo a cuore ciascuno il bene di tutti, come se fossimo gli uni negli altri. Anche fra noi vi sono liti, ma la comunità, quando si creano malumori, interviene sollecita per sbrogliare fin dal principio la matassa dei malumori aiutando i contendenti a sciogliere presto i rancori reciproci.

Viviamo di pesca e coltivazione; le donne si occupano di farci vestiti; abbiamo poi artigiani specializzati in ogni settore della vita, esperti nel provvedere al fabbisogno di ciascuno.Produciamo tutto ciò che ci serve, e quello che abbiamo in abbondanza lo custodiamo per gli scambi con i popoli delle altre isole qualora ne avessero bisogno, o per chi arrivasse a dimorare fra noi. Infine, consci della nostra natura terrestre, crediamo nel passaggio alla vita celeste ed educhiamo i nostri giovani a rendersi buoni ed operosi per essere accettati lassù, temendo il giudizio degli angeli che sono al servizio di colui che tutti ha fatti”.


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