Il complotto

Il complotto


IV

Quando il Signore Dio creò in principio i cieli, la terra, le superfici intellegibili e quelle calpestabili dalle mogli coi loro aspirapolveri, vide in sé stesso una creatura, affrontando e vincendo la quale, l’uomo e la donna sarebbero progrediti nel perfezionamento delle virtù civili: il vigile urbano. Per formarlo, l’Altissimo scracchiò sulle radici di un baobab, e come da questi ne uscì plasmato, disse a lui: “Io ti feci, alto fra i bassi e basso fra gli alti, affinché tu rediga verbali contrari a buon senso. Metterò te contro la stirpe del cittadino, l’onesto e il disonesto: lui ti insidierà il calcagno, e tu gli farai verbale”.
Ora, formato fin dal grembo materno per servire nel reparto contravvenzioni della polizia municipale di Taranto, l’agente Marco Tramaglino, detto Renzo, stava giusto infilandosi il calzino sinistro sotto la divisa alle ore 7.14 della mattina di venerdì 1° maggio 2020. Renzo, sposatosi con Lucia in prime nozze per motivi futili e abbietti e da lei piantato di lì a poco per ragioni altrettanto sconvenienti, conviveva da qualche tempo, e in prospettiva di unirsi a lui civilmente, nell’appartamento di Basilio Tassinari, un finocchio di Forlì, impiegatosi per vie traverse al catasto comunale della città. Senza soffermarci sulla fisionomia, l’altezza, il censo e la circonferenza del giro vita d’entrambi, lasciando al lettore quel poco di fantasia rimastagli dopo aver letto i romanzi sgualciti di Baricco e Carofiglio, dirò che i due, dopo aver fatto l’amore in piedi sull’uscio, come conviene fra uomini, si stavano promettendo amore eterno; eterno fino al tramonto, quando rientrando a casa seguivano solitamente parole di biasimo e gelosa ripicca da entrambi, talora fino alle botte. Ma intanto Renzo, ancora giulivo per le parole del partner e l’aroma del caffè, finitogli chissà come su per il culo, se ne usciva baldanzoso per le strade di una città sgombera d’anime. I Brindisini, infatti, assiepatisi come api dentro ai loro nidi-palazzo,
non osavano uscire in strada, più che per il timore del contagio, per quello discrezional-sanzionatorio dei preposti apparati in campo; aspettavano con timore e tremore l’oracolo governativo di riapertura dei traffici illeciti, così da riversarsi finalmente in strada e ricominciare col solito tran tran d’infrazioni.

Tali cose rimuginava in cuore l’agente Tramaglino, mentre al volante del suo fiammante destriero, ossia della nuova volante in dotazione, guidava in cerca di un luogo adatto per preparare le esche e gettar l’amo. Da giorni, infatti, non catturava un passante in flagranza di reato da D.p.c.m.; la cosa cominciava a pesare, non tanto nello stagno della sua coscienza sporca, quanto piuttosto al pensiero delle vanterie di certi suoi più anziani colleghi, i quali si compiacevano di appuntarsi fra loro, come medaglie o scalpi, il numero dei multati durante i servizi diurni e straordinari.
Così, mosso da spirito di emulazione, dopo aver girato in lungo e in largo la città, Tramaglino si appostò nei pressi di uno snodo particolarmente adatto al suo proposito, per esser quello punto di confluenza fra i principali quartieri della città. Ivi dunque posteggiò la sua vettura, per attendere al proprio senso del dovere: ossia per rompere diligentemente il cazzo. Piantati bene i piedi lungo il corso della via principale, trasse fuori dall’astuccio gli attrezzi per la pesca: paletta, verbali, fischietto e occhiali da sole.
Era una giornata davvero splendida, una rifrazione dell’eternità fra noi, a misura di bestie e uomini: guardando il cielo col binocolo delle fede si poteva intravedere il sesto girone dei beati, ovvero dei lussuriosi continenti; molti angeli pascolavano sopra i cieli pugliesi, portando i figlioletti a spasso, insegnando loro a cacciare i demoni. Questi ultimi, in particolare, quel giorno s’erano tutti assiepati come cimici infauste sotto le travi delle tettoie di Palazzo Chigi, per soffiare su per le narici del Presidente del Consiglio e dei Ministri della Repubblica propositi abnormi fino a tarda notte.
Nonostante tante meraviglie, sparse per tutto l’aëre, gli occhi dell’agente Tramaglino stavano fissi sopra il dorso del pelago d’asfalto, per indovinarne ogni lieve sommovimento ancor prima del vietato transito: in attesa, cioè, del tonno malcapitato da fermare, trarre a riva e sventrare. Ma quella mattina, con suo disappunto, nessuno si compiaceva di frodare le severe leggi italiane.
Stava dunque già per staccare dal turno mattutino, per volgersi verso un’immeritata sosta di svago presso un forno dove smerciavano unte focacce, quando uno strano senso di meraviglia gli corse per le vertebre: a cinquanta passi da lui, incurante d’ogni divieto scritto in terra e in cielo, un uomo, privo di mascherina, camminava per la via come nulla fosse. Era Alberto, il pittore, ignaro di dirigersi proprio contro il futuribile verbale: «Mentre si recava nel suo studio di via Numa Pompilio, senza alcuna ragione di stringente necessità».
Ma per aver notizia fresca del cosa e del come di quel che accadde dopo, caro lettore, ti chiedo di pazientare, per attendere che si snodi dai nostri precordi l’ispirazione che saprà traghettarti sulle onde del prossimo episodio.


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