L’uomo che non moriva

L’uomo che non moriva


III

Una scialba mattinata di fine giugno 2618. Nell’ appartamento del Brambilla, che assorbiva ancora a letto il suo psico-quotidiano bevendo una tazza di latte indotto, d’ un tratto s’ aprì lo psico-schermo. Era Nestlèa, la trisnipotina di un bisnipote della prima moglie di suo nipote, terzogenito di suo fratello Clelio, defunto nel 2045, che lo invitava al suo quadrimonio in una comunità pre-protestante detta “dei Santi degli ultimi dettagli”. Modesto, che battezzato nella Chiesa Romana, da ottocento e sedici anni non partecipava più alla Messa cattolica, per far contenta la nipote, risolse qui di andare: “Non sarà poi molto diversa”.

L’ edificio dei “post-fratelli”, come si facevano chiamare gli adepti della chiesa dei Santi degli ultimi dettagli, sorgeva in una periferia esistenziale della città, poco distante dalla bibbio-teca pubblica. Era un capannone in silicio e vetro, con bio-liane e rampicanti all’ intorno. Modesto parcheggiò il suo aereomobile lì presso, ed avvicinandosi all’ ingresso poteva sentire i canti votivi offerti dagli adepti al culto:

O, Dea, o Signora, svelati al maiuscolo, svelati, svelati!

Siamo riuniti intorno a te per esaltare i prodigiosi decreti:

quelli per i quali l’ antica eresia cattolica facesti a pezzi,

e i sordidi accordi e la morale bieca interrompesti:

le sacre rote facean girar i cosiddetti!

Intonaci ora l’ armonia,

intonaci, intonaci

suvvia!

Entrò dunque per lo «sportello della rinuncia», un oblò d’ ingresso del tutto simile ai passaggi che anticamente gli esseri umani mettevano sulla porta delle abitazioni per consentire il passaggio agli animali domestici dentro e fuori casa; dopo la Rivoluzione canina del 2160, infatti, per la pressione di plutocrati che avevano speso cifre astronomiche in campagne di sensibilizzazione per la tutela e promozione della dignità della persona canina e felina, la Società mondiale per l’ aggiornamento dei costumi aveva varato un decreto globale d’ efficacia immediata, il quale vietava “ogni discriminazione e disparità di trattamento fra persona umana, canina e felina”, con multe salatissime e pene per i trasgressori. Furono in particolare le comunità pre-protestanti di Svizzera Franca e Germolonia, con le Nazioni Baltiche, a farsi baluardo d’ applicazione della legge in seno alla società civile. Tanto poterono ed assillarono la gente, che si finì per capovolgere e travisare la norma, la quale inizialmente prevedeva soltanto parità di trattamento fra uomini e animali domestici. Ora invece, per quell’ eccesso di zelo e rigore mal posto che le contraddistingueva, i pre-protestanti avevano introdotto l’ uso di aprir cancelli e portoni delle loro comunità solo a gatti e cani; ma quanto agli uomini, alle donne, ai bambini e agli anziani, per introdursi nelle spregherìe comuni essi dovevano passare per appositi sportelli definiti appunto “della rinuncia”, perchè passando per essi si faceva professione di rinuncia “simbolica” alla propria dignità umana in favore dei “diritti domestici”.

Modesto capitombolò nella sala delle officiature a quadrimonio in corso. Come lo videro, fu accolto dai presenti con burla e fischi: era il nuovo modo di dare il benvenuto ad un “impervertito”, ossia ad un membro non ancora aderente alla dogmatica perversione. Secondo l’ aggiornamento normativo del Codice nuovo di malrovescio canonico, pubblicato da poco e valido per circa un quindicesimo delle sette mila e settecentottantotto sette in cui la comunità protestante era al tempo divisa, Corrado, fu sgarbatamente accomodato da alcuni clerò-gami al suo posto; due lesbo-hostess gli segnalarono sullo psico-schermo la sezione dei canti liturgici. Sacerdotate addette al culto celebravano il quadrimonio d’ una quadriade di trisessuali, fra i quali era Nestlèa. Modesto giunse appena in tempo per ascoltare la sformulazione d’ irrito:

“Vuoi tu, individuo X, prendere come tuoi domestici animal-compagni gli individui W, Y, Z qui presenti, e per tutta l’ orgasmica durata, procurando di lasciare sempre aperto un varco al dubbio, servirtene e trastullarteli per come piaccia e per quanto, finché altri faccia un fischio?”. “Sì, mi piace!” confermò giubilante la ragazza. “E a voi, individui W, Y, Z”, proseguiva la Sacerdotata “piacerebbe far lo stesso?”. “Ci par proprio!” in tre rispondevano. “Dunque, per lo stra-potere sconferitomi dall’ umano consiglio, secondo i crismi perversi del caso, io dichiaro voi quattro, da oggi e chissà per quanto, uniti in Quadrimonio!” Muggiti e strepitìo di petardi da ogni parte. “E Dio non voglia” concluse la Secerdotata ieraticamente “romperci le palle”.

Gli invitati si riunirono poi per un rinfresco in un robò-dromo vicino. Furono servite pietanze di prima qualità, per i canoni dell’ epoca: alghe delle Marianne, involtini aria e nebbia, paciugo d’ erbe e crostate rinnovabili. Non essendovi più vino, a causa del recente flagello dei vitigni che, dopo quello terribile d’ estate 2080, aveva devastato le rimanenti colture del pianeta, fu spremuta liquirizia in quantità. Modesto, capitato in una tavolata di energici sostenitori della nuova riforma degli appetiti, bastian contrario più che mai, diceva la sua davanti a un uditorio sbigottito: “…per me un cibo vale l’ altro, vi dico, e se non sbaglio qualcuno ha detto – ora non ricordo chi per la precisione – che non è quello che uno mangia a renderlo cittadino migliore, ma quel che gli esce di bocca. Credetemi, tutta questa passione per il cibo è un fatto relativamente recente: un tempo non si discettava sul bene o sul male a seconda di quel che uno mangiasse o bevesse. V’ erano altri ideali a far scorticare gli uomini: io posso testimoniarvelo, perché c’ ero. Oggi si usa tenere in prigione gente che non ha condito l’ insalata a bio-norma, usando olii non perfettamente iperigienici, o che magari ha sostituito ai croco-bocconcini della convenzione ®ex alimenti dozzinali. Ma pensate, seicento e cinquanta anni fa, nella prima grande guerra globo-sociale, le megalopoli diventarono trincee, con muraglioni alti fino a dieci pentametri, su cui i corpi speciali dei local-signori si asserragliavano per respingere gli assalti delle “borgate straccione”, come venivano chiamate con disprezzo quelle orde di affamati. Ovviamente gli straccioni persero battaglia e mezzi, e si ritrovarono ancora più a mal partito di prima. E se non ci fosse stato l’ intervento di Papa Babanjali per riconciliare i capi degli schieramenti, chi sarebbe sopravvissuto a quella piaga? Non avreste voluto esserci: le città eran cimiteri a cielo aperto; l’ odore del sangue si sentiva fin dalla campagna. I cani pascolavano liberamente sui corpi ammucchiati per vie, piazze, condotti, cibandosi dello strazio delle povere membra sparse. Fu una globale carneficina: e tutta a spese di quel pazzo istigatore, Ulter Ramsk, che cominciò a predicare “l’ armata uguaglianza” fra ricchi e poveri. Quel folle seppe rivoltar ben bene il suo letame nel solco delle masse indigenti grazie all’ appoggio dei signori dell’ industria delle armi. Questi dovevano trovare nuove clientele dopo il bando sull’ aggiornamento degli arsenali promosso da Papa Paolo XIX e approvato alla Camera delle Nazioni, con gran colpo di scena per il passaggio di un solo voto, e la memorabile perorazione del sovrano d’ Afriche Unite, Ruy Mandela. Ma nonostante il bando fosse stabilito e accolto da ogni comune globale, sparso il verbo di Ramsk persuase ad armarsi dapprima milioni, e poi miliardi di poveracci, per i quali – a sua detta – era giunto il momento di riprendersi con la forza ciò che per anni era stato loro rubata: “la dignità economica!”, come predicava con inferocito vigore dalle psico-schermate di piazza. Il suo programma rivoluzionar-politico fece gola ai poveri: diceva di voler “recuperare” – ma come poi s’ intese ciò significava “rapinare a forza” – i patrimoni delle cento e undici famiglie che da sole gestivano l’ 84% delle risorse economiche mondiali, “e ridistribuire a tutti”. Certo, finché si trattò di mettere in opera la prima parte non fu difficile: furono solo grandi assassinii ed esecuzioni alla rinfusa. I guai arrivarono dopo, al momento della cosiddetta “gran redistribuzione”. Perchè in realtà, una volta armati, i poveri persero ogni controllo sopra se stessi, dividendosi in fazioni sempre più ambiziose e in rivolta fra loro; e i magnati se ne approfittarono ancor più, esponendoli alla pubblica riprovazione per umiliarli con leggi ancor più ingiuste a proprio favore. Ramsk, nel panico generale per il fallimento della rivoluzione, fu giustiziato come “traditore planetario”, e l’ anarchia generale prese a regnare su vaste zone del pianeta. Ma ancora una volta per gli sforzi del Papato, che sotto i regni di Timothy il Lungo, Francesco III e Pio XVI, s’ era avventurato in una delicatissima trama di rapporti diplomatici con i capi armata delle varie fazioni, qui persuadendo gli uni, là spronando gli altri, ora scomunicando, ora venendo a patti, tessendo instancabilmente le fila con tutti, la Chiesa cattolica riportò la pace sul nostro pianeta, dilaniato per quasi un secolo dalle feroci guerre globo-sociali”.


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