Ritratto dal contado

Ritratto dal contado


Mentre scrivo queste memorie dal contado, confesso che il cuore mi piange un poco dentro: mi mancheranno e già mi mancano molto le mie care amiche di Paraggi, la Pina e la Marri. Ho trascorso due interi inverni nel loro tinello, contentandomi di quella vita semplice, in cui è ancora la natura coi suoi ritmi e frutti a segnare l’orario del lavoro e del riposo. Datrice di lavoro silenziosa, che richiede costanza e impegno, specialmente, a quanto sembra, dopo il peccato delle origini, al tempo della nostra innocenza originale, la natura offriva frutti spontanei e si preoccupava che ai signori del creato, dico all’uomo e alla donna, nulla mancasse di ciò che ammanta i più lauti e benedicenti banchetti. Se le scritture non mentono, ed io vi credo, fu in seguito ch’ella divenne severa: poiché l’uomo e la donna, fatti di terra, avevano usato disobbedienza al loro creatore, giustizia volle che anche la terra, come per imitazione, disobbedisse loro. E voltandoci le spalle, ci costrinse ad inseguirla, per ricavare da essa quel pane di sudore che ancor oggi, invero, ci sospinge in mille modi a solcar terre e mari per trovar di che mangiare. Eppure, chi si considererebbe fortunato per aver oggi un pezzetto di suolo da coltivare? Tutti, o quasi, vanno in cerca di altri vasi di ricchezza. Ma proprio oggi che il lavoro manca, o che la ricchezza svilisce per la sua astrattezza, non è forse giunto il tempo di rivolgere i nostri aratri alla terra, per tornare a rivivere sotto l’antica datrice del grano, del vino e del viver contadino?


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *