Ritratto dal contado

Ritratto dal contado


Manue, la Pina e la Marri erano gli ultimi veri contadini di quella parte di monte e di mondo che ancor viveva nelle proprietà del “Padrone” sotto contratto d’enfiteusi, genere d’accordo che lega vita natural durante il sottoscrittore a una terra che non gli appartiene e, verosimilmente, mai riscatterà. Erano gli ultimi testimoni di quella società, agricola e feudale, oggi svanita, rimpiazzata dalla presenza di “signori” che affittano le ville di proprietà ai russi, agli inglesi, ai tedeschi, avendole comperate ai contadini a basso prezzo nel dopoguerra, quando il contado italiano fuggiva le campagne e il duro lavoro dei campi per cercare maggior fortuna in città. La Marri però non aveva mai voluto andare via da Paraggi: al contrario, nessuno ricorda d’averla mai vista scendere da Costamezzana. La Pina invece aveva trovato l’impiego ai bagni di Paraggi, dove lavorò dai sedici anni agli ottantacinque. Fui testimone dei suoi ultimi giorni di lavoro, mentre la vedevo tornare su per la scalinata, seicentocinquanta gradini nel bosco, distrutta dalla fatica. La aspettava su la Marri in apprensione, mentre guardandomi scuoteva il capo. Di lì a poco anche la Pina si arrese all’evidenza: la sua vecchiaia non le consentiva più tali sforzi.
Spesso andavo a mangiare da loro e mi fermavo ad ascoltarle. La Marri mi faceva sempre le stesse domande e alla fine i discorsi ruotavano intorno a ciò che i cinghiali avevano o non avevano fatto. Se erano venuti, se ne parlava animosamente. Se non erano venuti, comunque se ne parlava. Si parlava dei cinghiali, ma a volte anche del tasso. Io non l’ho mai visto, ma quando si trattava di identificare il responsabile di qualche danno di minor conto, la Marri scandiva sicura esser stato: “U’ tassu”. Lei che amava più le bestie degli uomini, non li amava tuttavia come gli animalisti di città, i quali amano più l’idea degli animali che gli animali in sé, tant’è che alla fine se ne stanno più fra i loro simili che con quelli; li amava piuttosto come li amano i bambini, con lo stupore negli occhi. Osservandoli inteneriva; li studiava con curiosa intelligenza e poi mi guardava come a farmi notare qualche particolare che la divertiva. Ultimamente le chiedevo dove fosse “Gattone”. Ma lei mi diceva che quello andava e veniva e che probabilmente era andato da una gatta dei vicini. Ricordo quando la sera si portava in casa le due ultime galline rimaste, trasportandole nella cuffa. Le metteva nel tinello fino al mattino, per poi rimetterle nella gabbia. Temeva gli animali notturni, per questo le metteva al sicuro.


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