Ritratto dal contado

Ritratto dal contado


Quando la Pina e la Marri morirono Costamezzana si desolò. Lì eran nate, radicate, cresciute, faticate, invecchiate, e lì avrebbero per sempre dimorato, simili ad arboscelli sempreverdi, se le leggi della vita biologica non si fossero frapposte in mezzo. Che io sappia e ricordi, la Marri non era mai scesa da Costamezzana. La trovavi sempre lì, nei dintorni di casa, a dar da mangiare ai porchetti, a tagliare qualche ciuffo d’erba, a chiudere i cancelli con lo spago, affinché cinghiali e avventori non credessero passando di fronte al loro tinello che quella fosse “strada pubblica”. La Pina, che era sua sorella maggiore, nel sentirla lamentare alzava gli occhi al cielo, chiedendo al Signore di morire piuttosto che sopportare ancora la sorella. Si volessero bene o no, non era questione: ai veri contadini simili discorsi non si affacciano nemmeno, ché un’esistenza pratica li ha svezzati coi pensieri nella terra e le mani su fornelli ancora a legna. Entrambe di cuore schietto, ce l’avevano sulle labbra. La Pina poi, per contatto col mondo, una vita di lavoro giù ai bagni come sguattera tuttofare sotto le direttive di un padrone cattivo come l’aglio, ne aveva ricavato un’indole buona come il pane, accondiscendente con tutti, sempre preoccupata per le sorti altrui, facile a commuoversi e paziente come il tronco dell’ulivo. Viveva vedova da circa vent’anni nella casa della sorella, perché l’abitazione in cui visse col Manue, suo marito, lì poco distante, era bruciata una notte mentre i due dormivano. Il Manue, da quel che poi trapelò, aveva lasciato un petardo che diede fuoco alle stoppie, e in un attimo tutta la loro umile fortuna divenne un rogo: pollaio e porcellini, gli attrezzi, le sementi e il granone, le monete d’oro e tutte le scorte. Tutto tranne loro, che si salvarono scampando, fu divorato dalle fiamme verso la fine degli anni ‘90. Rimasero poi nella nostra casa per qualche tempo, finché si trasferirono in quella della Marri, poco sotto di noi.


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